Groupthink: consensi unanimi per scelte disastrose

Groupthink: consensi unanimi per scelte disastrose

Foto di Moose Photos da Pexels

Come pensa il tuo gruppo? Che sia il tuo team o la tua famiglia, ogni gruppo ha un proprio modo di prendere le decisioni importanti. A volte efficace, altre disastroso. In famiglia, ad esempio, determinerà il tipo di scuola che frequenteranno i tuoi figli, la decisione di indebitarsi per una casa più grande o di trasferirsi in un’altra città. In azienda porterà a scegliere la strategia di sviluppo per i prossimi anni, come riorganizzare i ruoli di un dipartimento o quali criteri usare per valutare le prestazioni.

 

Quali che siano le scelte da prendere, la mentalità dei membri del gruppo e dei suoi leader sono fondamentali per aumentare la probabilità di prendere quelle giuste.

Cos’è il groupthink, o pensiero di gruppo

Il termine groupthink si diffuse a partire dagli anni Settanta grazie agli studi di Irving Janis e viene usato per indicare quando all’interno di un gruppo tutti cominciano a pensare nello stesso modo e nessuno si dice in disaccordo, o si arrischia a esprimere una posizione critica rispetto a quella prevalente.

 

Il fenomeno del groupthink si ravvisa quando i membri di un gruppo preferiscono minimizzare i conflitti e raggiungere il consenso, anziché promuovere il dialogo e accettare la critica.

In questi contesti le diversità di opinione vengono sacrificate in nome della coesione: con il risultato di assumere decisioni poco obiettive, scarsamente logiche, che possono addirittura apparire folli o insensate a chi le osserva dall’esterno.

Relazione fra groupthink e stile di leadership direttivo

Lo stile di leadership esercitato in un gruppo influenza il modo in cui vengono prese le decisioni e può causare il groupthink.

Uno stile di leadership direttivo tende a sopprimere, se non a punire, il dissenso. Può darsi che i membri del gruppo continuino ad avere un proprio pensiero critico, ma evitano di dire ciò che pensano per il timore di essere isolati e tacciati di scarso affiatamento, o per paura che le loro idee vengano bocciate davanti al resto del gruppo.

Secondo Carol Dweck, autrice di “Mindset. Cambiare forma mentis per raggiungere il successo”, questo genere di leader agisce in tal modo per rinforzare il proprio ego. Così facendo crea un ambiente dove le possibilità di miglioramento vengono ostacolate, si frena la crescita e si mette a repentaglio il successo del gruppo.

In questi contesti si fa spazio l’idea che sforzarsi di apparire intelligenti sia più utile che sforzarsi ad imparare, e che evitare le sfide sia più proficuo che accoglierle.

I membri di questi gruppi – dipendenti, famigliari, associati – per ottenere un riconoscimento delle loro capacità da parte dei leader si allineano completamente alle loro posizioni.

Nei gruppi dove prevale questo genere di mentalità viene data poca rilevanza all’ascolto e poco spazio all’analisi. Ecco perché il fenomeno del groupthink è così critico quando si tratta di prendere decisioni importanti.

Gli 8 sintomi del groupthink

In un articolo di Ilaria Carretta a cura dell’Università Vita-Salute San Raffaele vengono elencati gli 8 sintomi ricorrenti del “pensiero di gruppo”:

  1. Illusione di invulnerabilità – i membri del gruppo credono di non poter mai fallire
  2. Convinzione ferma nella bontà e moralità della propria causa
  3. Creazione di un’atmosfera di non contraddizione
  4. I gruppi rivali sono stereotipati e gli esterni non vengono considerati meritevoli di partecipare
  5. Clima di auto-censura che elimina ogni possibile espressione di disaccordo
  6. Illusione di unanimità a scapito di una mancanza di reali alternative
  7. Pressione diretta a chiunque si permetta di dissentire
  8. Preoccupazione dei membri di proteggere il proprio leader, evitando di fornirgli informazioni che lo possano contraddire

Questi sintomi sono stati individuati da Irving Janis in alcune scelte fallimentari degli Stati Uniti in materia militare, come l’Invasione alla baia dei Porci (il tentativo mancato di rovesciare il regime di Fidel Castro) e la prosecuzione della guerra del Vietnam. Altri autori li hanno riscontrati nella vicenda Enron (una delle più grandi multinazionali statunitensi, operante nel campo dell’energia e fallita clamorosamente nel 2001) o in merito alla guerra in Iraq.

Come evitare il groupthink: uno studio sul lavoro di gruppo

Un importante studio sul tema, citato da Carol Dweck nel suo libro, ha coinvolto 90 manager suddivisi in 30 diversi gruppi. Metà dei gruppi era composta da tre manager con mindset statico: convinti, cioè, che le persone hanno un certo livello stabile di capacità manageriali e non possono fare molto per modificarlo. L’altra metà dei gruppi era composta da tre manager con mindset dinamico: convinti, cioè, che le persone possono sempre cambiare in misura sostanziale le proprie abilità di base.

Tutti i gruppi hanno lavorato insieme alcune settimane alla gestione di un’azienda virtuale.

 

[Il grado di capacità iniziale era più o meno simile, ma via via che passava il tempo, i soggetti con mindset dinamico iniziavano a ottenere chiaramente risultati migliori rispetto a quelli con mindset statico. E questa differenza cresceva ulteriormente quanto più a lungo i gruppi lavoravano. Ancora una volta, coloro in possesso di una forma mentis dinamica sapevano approfittare dei propri sbagli e dei feedback ricevuti dai compagni di gruppo molto più dei soggetti con forma mentis statica. Ma quel che appariva più interessante era il modo in cui funzionavano i gruppi al loro interno.

I gruppi composti da persone dalla forma mentis dinamica erano molto più propensi a discutere le decisioni da prendere, così che ogni membro potesse esprimere apertamente le proprie opinioni e l’eventuale disaccordo.

Tutti quanti erano parte del processo di apprendimento. Nei gruppi composti da persone dalla forma mentis statica, invece, a prevalere erano la preoccupazione di capire chi fosse intelligente e chi stupido o l’ansia di vedere approvate le proprie idee. In essi, invece era evidente come si verificasse quel fenomeno noto agli studiosi come groupthink.]

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Fonti:

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